«Vedere giovani studiosi di fotografia che escono fuori dalle aule entrando nelle questioni reali della vita ci riempie di soddisfazione». Si è aperto con le parole del fotografo Carmelo Nicosia, docente di Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Catania, la presentazione del libro L’istante e la storia. Reportage e documentazione fotografica. Dalle origini alla Magnum (Le Nove Muse Editrice, 2017), scritto dallo storico e giornalista Ezio Costanzo e realizzato con il contributo della Fondazione Oelle Mediterraneo Antico.

Nella foto: da sinistra F. Villa, E. Costanzo, C. Nicosia, E. Tromba

Sono tanti, infatti, gli studenti presenti nella sala del Museo dello Sbarco in Sicilia 1943 dedicata a Phil Stern, all’interno de Le Ciminiere di Catania, dove venerdì 1 dicembre si è discusso insieme al docente di Teoria e metodo dei mass media dell’Accademia di belle arti di Catania Enzo Tromba e al fotogiornalista Fabrizio Villa, della storia e del ruolo della fotografia, del reportage e della documentazione fotografica.

«Questo libro, che racconta non solo gli esponenti del foto reportage ma anche la storia e i cambiamenti tecnologici, si può considerare un tentativo di mettere un po’ di ordine nel grande archivio storico che ruota attorno a coloro i quali hanno avviato la splendida pratica del foto giornalismo – ha spiegato l’autore – che parte da lontano, esattamente nel 1842, quando due novelli fotografi trasformarono un fatto di cronaca, l’incendio di Amburgo, in immagini che tutt’ora possiamo vedere».

Nel testo Costanzo accompagna il lettore in un excursus che si sofferma su un aspetto emblematico, quello delle guerre, che hanno caratterizzato l’evoluzione del foto reportage. «Se nella prima Guerra mondiale i fotoreporter erano arruolati nelle file dell’esercito e dovevano sottostare a censure inimmaginabili – ha chiarito Ezio Costanzo – dalla seconda nascono figure come Robert Capa, esempio emblematico di cosa dovrebbe essere il foto giornalismo. Come sosteneva anche Phil Stern, infatti, il fotografo deve avere un’opinione. Non esiste una foto asettica, giornalistica, che racchiude una realtà assoluta, perché quella immortalata è la realtà di chi sta dietro l’obbiettivo».

Sul fascino e sul potente ruolo della fotografia come medium di massa si è concentrato invece l’intervento del professore Enzo Tromba, che ha sottolineato come «la macchina fotografica sia l’unico mezzo in grado di fissare nel tempo un momento, isolandolo e rendendolo storia. Ci sono momenti nella storia dell’umanità – ha continuato – che sono fissati in maniera indelebile nella memoria di tutti noi da una fotografia. Come quella della ragazzina nuda che corre cercando di mettersi in salvo con dietro i villaggi che bruciano, simbolo della guerra del Vietnam».

Anche Fabrizio Villa ha dato un importante contributo, ragionando con gli aspiranti fotografi su alcune esperienze di autocensura. «All’inizio della mia carriera mi sono trovato in un ospedale psichiatrico a dover fotografare persone con fortissimi disagi. Inizialmente ero così traumatizzato che non ho scattato, ma poi la missione di dover testimoniare cosa succedeva lì dentro mi ha dato la forza di lavorare». La stessa forza che oggi lo accompagna sulle navi della Marina militare per fotografare i migranti. «Vedere il disagio umano, per chi non conosce la vera sofferenza, è qualcosa che resta dentro».

La conclusione dell’incontro non poteva che essere dedicata al ruolo della fotografia oggi, ai tempi degli smartphone e dei filtri di Instagram. «Sui social questi escamotages li usiamo tutti, anche noi professionisti – è intervenuto Villa – ma mai per fare informazione perché non dobbiamo alterare la realtà. Più vera è una fotografia, anche a discapito della qualità, e meglio è».

Giorgia Lodato

Ufficio stampa Fondazione Oelle Mediterraneo Antico