Carnevale a Venezia - N. Sciavarrello

Le colombe sul balcone - N. Sciavarrello

Felice Memoria

Chiuso nella sua impeccabile grisaglia grigio-azzurro, severo e distaccato nel portamento il “professore” Sciavarrello, chiarista della scuola romana,  torreggiava sulle nostre teste durante l’ora di “Disegno dal vero”.

Non di rado accadeva che ci regalasse un largo, quanto inaspettato sorriso.

Certificando così la continuità di un sostanziale sentimento di simpatia circolante nella piccola comunità dell’lstituto d’Arte di Catania, di recente costituzione in quei primi anni Cinquanta.

Anni di felice memoria per me, in una Catania dolce e irripetibile ormai lontana e definitivamente perduta.

In questa breve nota che non ha velleità critiche, ma vuole essere soprattutto un omaggio a Nunzio Sciavarrello artista e organizzatore di cultura – alla cui azione non pochi meriti la città deve riconoscere -, mi è parso essenziale ricordarlo come maestro (esponente di una triade carissima insieme a Francesco Ranno e a Pippo Giuffrida entrambi, purtroppo, non più fra di noi).

Il Lavoro del Maestro

Ma i ricordi finiscono qui per dare conto invece del suo lavoro di pittore e di incisore.

Un lavoro portato avanti con intensità costante sin dai lontani anni di noviziato romano vissuto in sodalizio con i Maccari, i Mafai, i Pirandello, già allora protagonisti di primo piano della pittura italiana, intorno alla metà degli anni Trenta.

Un lungo lavoro dunque, dipanatosi fra bulino e pennelli, con assidua fedeltà al suo mondo.

“Artista più di affetti che di effetti” – secondo un’acuta notazione di Giorgio Di Genova -, è proprio attorno a questo nucleo che la poetica di Sciavarrello muove e avanza, dalle prime rarefatte incisioni ai dipinti più recenti.

Ma se questo è il sentimento sulle cose, ugualmente intenso ma più complesso appare l’ordito formale e linguistico messo in atto.

Il Segno delle Incisioni

Resta, credo, fondamentale l’elaborazione compiuta intorno al “segno” di cui è testimonianza il cospicuo corpus delle incisioni.

Il segno come medium severo e mutevole attraverso il quale un ampio ventaglio di immagini lievitano, si fanno purissima luce nel suo fitto intrecciarsi.

O solitaria e scabra presenza nell’intatta innocenza dello spazio; quasi a mimare la vita nel significato più sotterraneo e reale, restituendo la desolata mestizia che porta in sé l’immagine di un clown.

E’ insomma, un grande magistero, fra sapienza e necessità espressiva, quello che troviamo inverato in numerose prove: piccoli, autentici capolavori dell’arte grafica.

Il Procedere Pittorico

Più accidentato e controverso, il procedere pittorico manifesta gli echi ricorrenti delle prime esperienze culturali assorbite negli anni romani, ma con accenti posti principalmente nell’esplorazione dell’umano più che sulle derivazioni formali.

Mentre una forte adesione alla natura caratterizza, via via, le opere prossime alla maturità con esiti di evidente lirismo di decantata intimità, come risulta in questa ampia scelta antologica.

Fino a quelle più recenti che sembrano voler recuperare interamente la felicità della pittura come necessità quotidiana del vivere, nel continuo confronto fra sé e il mondo.

Un mondo celebrato nelle piccole cose d’ogni giorno osservate da un viaggiatore instancabile che ha scelto l’attività visiva come forma privilegiata per comunicare.

Piero Guccione

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Da Cézanne a Morandi

Nella pittura di Nunzio Sciavarrello si avverte sin dal primo contatto una ricerca colta, innervata sulle esperienze della Scuola Romana, il cui tonalismo viene talvolta corretto (soprattutto nei paesaggi) con il pennelleggiare costruttivo della tradizione cezanniana, oltre che da qualche “omaggio” a Morandi.

Sciavarrello ha respirato l’aria della Roma anni trenta, quella, per intenderci dei Mafai, Maccari, Pirandello e Bartolini.

E se ciò si avverte soprattutto nelle incisioni in generale, dove la lezione del suo maestro Mino Maccari si fa più evidente, nelle splendide puntesecche del ‘43 – ‘44 si avverte un’adesione ad un clima d’espressionismo tipicamente romano.

Di quella Roma che fremeva nel chiuso degli studi contro l’oppressione nazifascista, tanto che certe sue miniaturistiche puntesecche di quel periodo vibrano dello stesso sdegno di condanne del Gott mit Uns di Guttuso e della concitazione grottesca delle Fantasie di Mafai.

Ma con soluzioni personali che suonano come risposte sia a Guttuso, al quale Sciavarrello con Panico sull’Etna del 46 ha risposto anche sul piano della pittura, (lo si confronti con Fuga dall’Etna che il pittore di Bagheria aveva dipinto nel ‘38), e sia a Mafai, per un fare più intimista, più delicatamente lirico, talvolta tendente al bozzettismo delle scene quasi da Strapaese.

Giustamente De Grada nel 1976 ha definito alcune acqueforti del ‘43 – ‘44 di Sciavarrello come “incunaboli dell’arte della Resistenza”.

La sensibilità e il cromatismo

Tuttavia va sottolineato che proprio per la sua sensibilità di uomo mite l’artista di Bronte ha reso lirici anche i drammi di quel tempo tragico.

Come in seguito, (forse sulla scia di altre lezioni d’epoca), ha stemperato costruttivamente le accensioni cromatiche della Scuola Romana.

Riassorbendole in tonalità chiare e terse che l’hanno fatto divenire una sorta di chiarista nell’ambito di detta Scuola in opere (e penso a certi voli di colombe sul fondo di persiane o di cielo, che a mio avviso sono le cose migliori da lui dipinte), dove è il bianco a esprimere un amore per la luce mattinale, pulita, quasi pia.

Come nelle incisioni, anche nei dipinti Sciavarrello, che è artista più di affetti che di effetti, dà il meglio di sè nel racconto dell’attimo fuggente.

E in questi casi, a mio avviso, che quel quid d’affettuosità nei confronti dell’uomo, della natura e della vita s’esplica con delicatezza sensibile e convincente, essendo il lirismo una componente genuina del suo spirito.

Infatti, Sciavarrello è più intenso quando è più liricamente diretto e quando “fantasmizza” l’immagine abolendo il disegno, cioè crea figure dall’interno della pittura stessa con le sole pennellate e le variazioni di tono graduali.

Alieno da forti tensioni psicologiche, Sciavarrello guarda la realtà e il mondo con occhio da ottimista, che sa rendere gioiosa e atmosferica anche la concitazione dei movimenti, (vedi i dipinti con le colombe), e saporose le scene più crude, tipo Fucilazione, puntasecca del 1944.

Le morbidezze, determinate dalle barbe della puntasecca, e il cromatismo delicato, quasi gessoso, delle acquetinte sono, infatti, espressioni d’una stessa temperie psicologica, che tende a ingentilire la vita e la realtà.

A metà strada tra Pierrot e uomo combattivo

Per questo uno dei suoi temi preferiti negli ultimi anni è quello del circo, che oltre a permettergli certe libertà inventive e certe briosità di immagine e forma, gli dà la possibilità di costruire allegorie.

Il clown diviene cosi l’emblema della vita che rappresenta, giocosamente sorridendo, i propri dolori, i propri sentimenti e le impossibilità quotidiane.

A metà strada tra triste Pierrot e uomo combattivo, il clown di Sciavarrello è la dichiarazione di una filosofia personale, che parla della vita ben al dị là del soggetto rappresentato.

Che proprio per questo si fa dichiarativamente autorappresentazione simbolica, rendendolo una sorta di gemello immaginario del suo stesso autore.

Si sa, ogni artista non fa che parlare sempre e comunque di se stesso.

Sciavarrello lo fa con l’affetto che lo contraddistingue, dicendo anche le insidie del vivere sociale, espresse nel groviglio di linee, che, come le relazioni interpersonali, condizionano il personaggio, il cui truccarsi è un aspetto del suo essere vero.

La maschera infatti, in Sciavarrello, anziché nascondere l’identità, anziché essere un belletto della ipocrisia, è un momento della verità esistenziale.

Di quella verità la quale rende vivo l’uomo, che sa adeguarsi al principio di realtà e quindi sa sperare e giostrare tra le infinite difficoltà della vita, come ogni individuo creativo e attivamente partecipe.

E in quanto è l’immagine dell’autore, il clown di Sciavarrello e uno di noi, che combattiamo ogni giorno le battaglie della vita, ricominciando dopo ogni sconfitta, per andare avanti, perché vivere significa appunto andare avanti.

Giorgio Di Genova

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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